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Vita da 5S

Colle, se Conte non riesce a tenere uniti i suoi è un problema

Il partito di maggioranza relativa sempre più sfilacciato non esprime una linea condivisa. Vacante il ruolo di king maker. E Di Maio non sta a guardare

Colle, se Conte non riesce a tenere uniti i suoi è un problema

Una volta era il leader del partito di maggioranza relativa a tessera la tela per blindare un nome o un altro nella corsa la Quirinale. Il king maker diremmo oggi. Tempi lontani. In questo inizio 2022 il partito che conta più parlamentari rispetto agli altri, il M5S, sta offrendo uno spettacolo di sé non solo poco esemplare alla vigilia di quella che, a ragione, è considerata la partita più importante della legislatura. Ma soprattutto sta dimostrando scarsa attendibilità agli occhi degli alleati o di qualunque altra forza politica sia intenzionata a intraprendere un confronto sulla candidatura da appoggiare per il Colle.

 

Giuseppe Conte non riesce a tenere a bada i suoi. Anzi, più si avvicina il voto che – ricordiamolo - si svolgerà a scrutinio segreto, più la barca Cinque Stelle sembra alla deriva con scialuppe che via via si sganciano e seguono rotte autonome. Quanto in questa situazione sfilacciata l’ex premier abbia la possibilità di mantenere un potere ‘contrattuale’ nelle trattive esterne è difficile dirlo. “Siamo il partito di maggioranza relativa e abbiamo un dovere di responsabilità e credibilità verso l’intero Paese: evitiamo di dare l’immagine di andare in ordine sparso e di un Movimento spaccato”, ha detto ieri. E ancora: “Saremo decisivi solo se compatti”.

 

Ma l’impressione è che l’ex premier sia un generale senza truppe. Con un’aggravante. Che gli ex grillini si muovano per correnti senza avere idee chiare sulla scelta del successore di Mattarella non riguarda solo la vita della forza politica nata su un’onda emotiva, che pure gli ha consegnato 11 milioni di voti nel 2018. Un anno dopo, alle europee del 2019, erano già dimezzati. Riguarda in specie la possibilità di governare concretamente la partita che si svolgerà nell’Aula di Montecitorio quando entrerà nel vivo, in cui proprio il segreto dell’urna rende tutto possibile.

 

Prima il ‘no’ all’ipotesi Mario Draghi, poi il passo indietro e l’apertura al presidente del Consiglio. Infine la candidatura al femminile e, da ultimo, il Mattarella bis come “unica strada per il bene del Paese, del Parlamento, del Governo”. Nelle file 5S è in atto una guerra sotterranea in cui nemmeno chi ha acceso le micce sa bene dove vuole andare a parare. E in una fase così delicata per gli equilibri istituzionali che dovranno costruirsi con l’elezione del nuovo capo dello Stato questo non è un bene per nessuno. Né per chi ha sempre avversato il partito fondato da Beppe Grillo. Né per il Partito democratico che pure con Giuseppe Conte ha sperato di rinsaldare l’alleanza giallorossa che ha dato vita al secondo esecutivo della legislatura. Gettando, al contempo, le basi per un ‘campo largo’ progressista in vista delle elezioni del 2023. Oggi la condizione che vive il Movimento porta con sé tante variabili. E forse ha ragione Paola Taverna quando attacca i senatori pentastellati e chiede: siamo forse in autogestione?

 

Per ora l’avvocato cerca di congelare le tensioni e le fragilità della sua gestione. Ha rinviato la discussione sul Colle alla settimana prossima. Ma è evidente che lo scontro vero è sulla leadership e Luigi di Maio, il ministro degli Esteri, non sta certamente fermo a guardare. Forse è lui che aspira a fare il king maker per le elezioni del prossimo inquilino de Quirinale. E il suo orizzonte non si ferma lì.

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